Santuario di My Son: tesoro millenario del Vietnam tra divinità e affascinanti rovine storiche

Entrando nel santuario di My Son, si viene subito accolti da un’atmosfera in cui la storia parla senza filtri, attraverso rovine che raccontano e l’ambiente che le circonda. Tra mattoni color ocra molto intenso, si intravedono i segni di una civiltà antica, che costruiva con precisione sorprendente. Più della metà dell’area è stata danneggiata seriamente durante i bombardamenti della Guerra del Vietnam, certo, ma il sito conserva ancora un valore archeologico e simbolico davvero unico. Ogni piccolo dettaglio rimanda a un passato che ha lasciato un segno profondo nell’arte e nella religione del Sud-est asiatico – grazie a un lavoro di conservazione che, oggi come ieri, resta indispensabile.

La storia stratificata di un regno antico

My Son è ben più di un semplice sito: risale addirittura al IV secolo ed è testimonianza viva dell’antico regno Cham, che si affacciava sulla costa vietnamita. Qui, un tempo, la cultura religiosa dei Cham ruotava attorno al culto induista, con una venerazione particolare per Shiva, protettore dei sovrani locali. Tra il VII e il XIII secolo, la zona si è ampliata fino a ospitare una settantina di edifici, tutti costruiti con mattoni speciali – un dettaglio che ancora oggi lascia perplessi gli studiosi. La tecnica usata qui differisce molto da quella di altri siti famosi dell’area, come Angkor Wat o Borobudur. Ecco perché My Son resta un gioiello tutto da studiare, con particolari costruttivi quasi unici.

Il santuario iniziò a perdere importanza con la scomparsa del regno Cham, alla fine del XV secolo; la natura, da allora, ha coperto molte delle strutture. Solo nel tardo XIX secolo sono partiti i primi tentativi di recupero. Ma la storia recente non è stata benevola: durante la Guerra del Vietnam, il sito venne usato come base militare e subì bombardamenti pesanti. Ancora oggi si notano crateri e segni di quei danni, racconti chiari di distruzione e, al contempo, di tenacia. Chi visita il luogo percepisce una dinamica complessa, fatta di perdita ma anche di rinascita attraverso i secoli.

Santuario di My Son: tesoro millenario del Vietnam tra divinità e affascinanti rovine storiche
Santuario di My Son: tesoro millenario del Vietnam tra divinità e affascinanti rovine storiche – abbaziasantamaria.it

Cosa resta da scoprire fra templi e musei

My Son si divide in vari blocchi, chiamati gruppi, ognuno differente per funzione e stile architettonico. Il gruppo A – che include il Tempio A1 – è quello in parte restaurato dopo la guerra. Un tempo, il Tempio A1 raggiungeva i 28 metri di altezza, con due ingressi principali, cosa piuttosto rara in questo sito. Attorno a esso si trovavano altre costruzioni più piccole, dedicate alle divinità direzionali. Un elemento chiave per capire come si organizzasse la religione qui.

I gruppi B, C e D rappresentano il cuore del sito, con ventisette templi dedicati a Bhadreshvara, una forma di Shiva. Tra questi brilla il tempio B5, noto soprattutto per le sue sculture molto dettagliate, che richiamano i capolavori dell’architettura induista famosi in Cambogia. Nel gruppo C si trova il grande tempio C1, celebre per i suoi bassorilievi e le decorazioni finemente ornate: mostrano simboli spirituali del popolo Cham, elementi che spesso sfuggono a chi visita in fretta. La qualità culturale e religiosa emerge forte, ma bisogna fermarsi un attimo per coglierla davvero.

Passando ai gruppi E, F e G, troviamo rovine meno frequentate, perfette per una visita più tranquilla e approfondita. I gruppi H e K si presentano con edifici più semplici, eppure ricchi di significato per chi vuole scovare tutto. Un museo nelle vicinanze espone sculture e bassorilievi fondamentali per capire non solo la religione ma anche la vita dei Cham, un dettaglio quasi sempre trascurato quando il tempo è poco durante la visita.

Come raggiungere il santuario e muoversi nel territorio

Si trova in una valle tra le montagne della provincia di Quang Nam, proprio nel cuore del Vietnam centrale. Da Hoi An – città considerata patrimonio UNESCO – dista circa 40 chilometri, un viaggio che fa parte della magia del percorso stesso. Il paesaggio verde intenso e la posizione isolata offrono un preludio naturale prima dell’arrivo.

Per raggiungere il santuario esistono varie soluzioni: i tour guidati sono tra le più scelte, perché evitano le ore più calde e le folle, offrendo una passeggiata più rilassante. Le navette e altri mezzi condivisi sono opzioni pratiche e meno complicate, adatte a chi non vuole pensieri. Se invece si preferisce visitare in modo indipendente o esplorare i dintorni, taxi, auto privata o scooter – molto diffuso nelle zone locali – sono scelte comuni. Insomma, ce n’è per tutte le esigenze. In un sito così delicato, con una natura storica e ambientale tanto fragile, il rispetto resta d’obbligo.

×