Camminare su sentieri impervi con uno zaino pesante sulle spalle sottopone il corpo a una fatica continua e specifica. Chilometro dopo chilometro, cresce il rischio di dolori muscolari, infiammazioni e piccoli infortuni legati all’uso prolungato e ripetuto. Non parliamo solo di escursionisti esperti—anche chi si dedica al trekking sporadicamente ne può risentire. Daci dentro con gli esercizi adatti, dicono molti fisioterapisti: una preparazione fisica mirata e una prevenzione attenta vanno messe in pratica prima di partire. Compare il primo dolore? Meglio intervenire subito con tecniche fisioterapiche specifiche, così si possono attenuare le cause e camminare più sicuri e con più serenità.
Nel corso degli anni, grazie all’esperienza diretta di fisioterapisti specializzati in escursionismo, sono emerse alcune pratiche efficaci da seguire. Assistere chi cammina, sia sul sentiero sia in centri dedicati, ha portato a capire quali sono i problemi più frequenti causati dall’uso continuativo di muscoli e articolazioni durante le camminate. Da questi dati nascono consigli e esercizi concreti che chiunque voglia affrontare trekking impegnativi dovrebbe avere sott’occhio. Vedere come il corpo risponde alle continue sollecitazioni del cammino aiuta a evitare guai.
La mobilità della caviglia: il perno indispensabile del passo
Tra le articolazioni più sollecitate nel trekking, la caviglia è spesso sottovalutata. Molti si muovono con caviglie rigide: abitudini quotidiane poco attive e scarpe strette riducono la naturale escursione articolare. Anche diversi modelli di scarpe da trekking, apparentemente performanti, possono limitare la libertà di movimento indispensabile ad adattarsi ai terreni irregolari.
Passare da un terreno liscio a una pietraia o a una zona di radici è uno stress per caviglie poco mobili, che a quel punto costringono altre articolazioni—ginocchia, anche, schiena—a farsi carico del compenso. Il risultato? Infiammazioni tendinee, fascite plantare, problemi che tornano spesso e non si risolvono facilmente. Insomma, c’è un peso serio che impatta sulla stabilità e sulla sicurezza quando si cammina in montagna.
Chi vuole migliorare la mobilità della caviglia può provare un esercizio semplice e valido: l’affondo controllato. Mettendosi in mezzo affondo, con la gamba avanti piegata a 90° e il tallone ben appoggiato a terra, si porta lentamente avanti il ginocchio verso l’alluce. Attenzione: niente sollevamenti del tallone! Bisogna muoversi con dolcezza, oscillazioni leggere, evitando che insorga dolore o spasmi. Così si favorisce il movimento articolare. Anche i sollevamenti sui talloni, fatti lentamente su un gradino, sono utili: rinforzano i polpacci e migliorano l’equilibrio, tutto ciò aiuta la funzionalità muscolare.

Quando serve più forza e non solo flessibilità
Spesso si dedica molto tempo allo stretching per aprire le anche, ma non sempre basta. La rigidità che si avverte può dipendere, più che dalla mancanza di elasticità, da una debolezza muscolare e poca stabilità articolare. Concentrarsi solo sull’allungamento non risolve niente: i muscoli devono reggere il movimento, soprattutto per evitare compensi che fanno male.
Un esercizio semplice e pratico è la variante del plank laterale chiamata “side plank clam”. Si parte sdraiati su un fianco, appoggiando l’avambraccio con il gomito allineato sulla spalla e con le ginocchia piegate. Si solleva il bacino, occhio a non ruotare la schiena, e si aprono lentamente le ginocchia come una conchiglia: così si attivano i muscoli che stabilizzano l’anca, indispensabili per un passo saldo e efficace.
L’allenamento con i pesi non può mancare. Camminare da solo non rende pronti tendini, ossa e articolazioni a sopportare il carico dello zaino e il terreno impegnativo. Durante la camminata, i muscoli di piedi e caviglie devono resistere a forze maggiori del semplice peso del corpo. Ecco perché serve lavorare in palestra, con affondi, step-up, squat e stacchi da terra, esercizi che rinforzano e aumentano la resistenza riducendo il rischio di guai.
Serve farlo regolarmente, almeno due volte a settimana, con serie da otto a dodici ripetizioni e carichi modulati. Un allenamento costante, abbinato a pause giuste, aiuta ad alzare la prestazione e la sicurezza sul sentiero. Chi vive in città e non è abituato a certi carichi, spesso sottovaluta questo aiuto.
Il piede, alleato spesso trascurato e il ruolo del recupero
Spesso le dita dei piedi restano compresse dentro calzature strette, riducendo forza e stabilità del piede. Camminare su terreni irregolari vuole dita aperte, che creino una base solida. Se chiudiamo le dita come mani strette, capire il problema è facile: così il passo diventa più innaturale e più pericoloso.
Un modo per recuperare la mobilità e forza del piede è usare i distanziatori per dita. All’inizio vanno indossati nelle pause, a riposo, poi piano piano durante la giornata, allenamento e camminate vere. La scelta di scarpe con punta più larga, abbinata a qualche minuto di esercizi a piedi nudi, può irrobustire questa zona, spina dorsale del passo.
Il recupero fa la differenza tra allenamenti efficaci e risultati deludenti. Non basta muoversi o fare stretching: sonno regolare, idratazione giusta e dieta equilibrata aiutano a far rigenerare muscoli e articolazioni. Senza recupero, il rischio di incorrere in disturbi muscoloscheletrici aumenta e il lavoro in palestra o sul sentiero resta a metà.
Mettersi di buona lena con una preparazione fisica mirata può spaventare un po’ chi non si allena spesso. Però, chi vuole affrontare cammini tosti dovrebbe dedicare almeno tre o quattro mesi ad allenarsi con costanza—forma migliorata, meno infortuni e camminate più sicure sono il suo premio. Anche poche settimane di attività strutturata, però, danno un bel miglioramento nella consapevolezza del proprio corpo e nella sicurezza durante il trekking: un aspetto che, dalle parti di molte città, è sempre più riconosciuto dagli appassionati.